sabato , 27 luglio 2024
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Il Tetragramma. Curiosando nel gregoriano, parte 4

Inno di san GiovanniL’inno dei Primi Vespri di San Giovanni Battista, scritto in notazione quadrata su tetragramma

Chi è abituato a leggere spartiti ben conosce il ‘pentagramma’ ovvero le 5 righe parallele dove vengono ‘alloggiate’ le note musicali a seconda della loro altezza. Ma le righe non sono sempre state 5. Oggi facciamo un accenno al ‘tetragramma’, cioè il rigo musicale composto da sole quattro linee orizzontali, utilizzato nella notazione quadrata. È l’antenato del pentagramma. Il tetragramma e la notazione quadrata, insieme con la notazione metense e la notazione sangallese (di cui accenneremo prossimamente), sono tutt’oggi utilizzati nella notazione del canto gregoriano.

Nell’antichità, fino al medioevo, non si praticava alcun modo per scrivere la melodia musicale, solo sporadicamente e raramente in alcuni ambiti si era trovata qualche forma di notazione.

I primi codici musicali risalgono al IX secolo. Le note erano indicate con dei segni grafici, chiamati neumi. Tuttavia lo scopo dei primi annotatori non era quella di dare indicazioni melodiche, poiché la melodia veniva trasmessa ancora a memoria, bensì ritmiche. Per questo venivano chiamate notazioni adiastematiche, cioè in campo aperto.

A partire dal X secolo nacque l’esigenza di dare indicazione, oltre che del ritmo, anche degli intervalli melodici. Gli antichi amanuensi, prima di scrivere, preparavano le pergamene tracciando a secco delle linee, che utilizzavano come guida per una corretta scrittura. Si prese l’abitudine, inizialmente, di scrivere il testo una linea sì ed una no e di utilizzare le linee vuote per scrivere la musica. In un secondo tempo le linee divennero due, che vennero colorate di rosso per indicare il Fa e di giallo per indicare il Do: ecco spiegata la nascita della notazione diastematica. Le linee si assestarono fino a quattro, poiché l’estensione della musica medievale non era così ampio come nella musica moderna.

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